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Versione

Lawaai means Hawaai

 Sara Manente

 
 

prima italiana


“Lawaai” è la parola olandese che mi piace di più. Significa rumore, ma per me suona come “Hawaai”.

Accade spesso di attivare associazioni mentali di questo tipo quando percepiamo le cose con i sensi. Con Lawaai means Hawaai la coreografa Sara Manente intende rivelarci qualcosa che riconosciamo ma non sappiamo nominare, qualcosa che sta tra le cose (e anche tra i performers e gli spettatori) ma senza una definizione o un perimetro. Il punto di partenza di questo progetto coreografico in situ ruota attorno al concetto di 'rumore'. L’idea di rumore, o inquinamento sonoro, non è una metafora. È piuttosto un modo di aprire lo spazio (persone, oggetti e architetture, considerati nella materialità di tutti gli elementi) a una realtà polifonica. Una 'coreografia automatica' per una danza idiota e anti-autoritaria: che non emerge da decisioni personali ma dalle circostanze, una coreografia che era lì, ad aspettare. I performer si concentrano sullo sforzo di 'essere all'opera', che li fa danzare per riduzione, cercando quasi di scomparire nello spazio, spostandosi dal primo piano allo sfondo. Presenze mimetiche per coreografie che si auto-de-generano. Lawaai means Hawaai è una performance costruita per segmenti, ognuno dei quali sviluppa un’idea analoga al comportamento acustico in relazione allo spazio: inquinamento, eco, assorbimento e riflessione. La successione delle scene, fatta per giustapposizione di momenti astratti e concreti, attiva un movimento fisico e mentale per occhi e orecchie.

Lawaai means Hawaai
ideazione Sara Manente
coreografia e performance Ondine Cloez, Michiel Reynaert, Sara Manente
musica e suono Christophe Albertijn
costumi Hadas Cna’ani, Rani Bageria
delegato di produzione eve vzw
co-produzione Monty Antwerpen, WorkSpace Brussels, Beursschouwburg Brussel, Fabrik Potsdam/Tanzplan Potsdam
in collaborazione con wp Zimmer, PACT Zollverein, De Pianofabriek
col sostegno di de Vlaamse Overheid
grazie a echobase, bains::connective, A.pass, rotor, Jorge Dutor, Florent Delval